Itinerari in Abruzzo

L'Abruzzo a tavola

Saverio Occhiuto

Siamo l'unica democrazia occidentale che ricorre ai governi tecnici quando la politica è in difficoltà nell'indicare la strada di Palazzo Chigi. Fu così nel 2011, con il governo dei “professori” guidato da Mario Monti che tanto piaceva all'Europa ma che probabilmente ha segnato anche l'avvento sulla scena dei partiti cosiddetti populisti, quelli anti sistema che oggi vanno all'incasso alle urne. 

Una lezione che il Quirinale non sembra avere colto, anche se l'ultima carta giocata da Mattarella, il governo del presidente per porre fine al mercatino rionale nel quale sguazziamo dal 4 marzo, potrebbe avere un'altra lettura, che poi è sempre quella: compiacere l'Europa e tenere a bada la speculazione finanziaria.

In realtà nei cassetti del Colle una soluzione “politica” allo stallo creato dal dopo voto c'era ed era forse la più lineare e percorribile sin dal primo giorno: consentire al centrodestra, la coalizione che ha raccolto il maggior numero di consensi alle urne, di presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia per la formazione di un nuovo governo, cercando lì i numeri necessari.

In un sistema elettorale largamente proporzionale, come il Rosatellum, questo percorso sarebbe stato garantito dalla Costituzione. Il Pd avrebbe potuto consentire l'avvio di questo governo di “emergenza”, viste le scadenze alle porte (aumento dell'Iva da scongiurare, vertice europeo sulla immigrazione, legge di Bilancio) con un voto di astensione. Lo ha fatto in passato un certo Enrico Berlinguer, sostenendo i governi della Dc a guida Andreotti, non si capisce perché non avrebbe potuto farlo Martina.

Questa soluzione non è stata però mai presa in considerazione, né all'inizio né alla fine delle consultazioni al Quirinale. Si è invece andati avanti per equazioni improprie: governo uguale M5S più Lega, o M5S più Pd, e non si capisce perché mai Mattarella avrebbe dovuto auspicare una scomposizione innaturale della coalizione di centrodestra pur di favorire la formazione di un nuovo esecutivo che piaceva a Di Maio.

A proposito del quale va fatta un'altra riflessione. Il capo politico dei 5 stelle ha sempre ritenuto un suo diritto andare alla guida di Palazzo Chigi, mettendo sul tavolo il 32% di consensi ottenuto dagli italiani. Nessuno gli ha però ricordato che la Dc, anche quando otteneva il 34% alle urne, consentiva la formazione di governi guidati da Spadolini (con il suo il Pri che non andava oltre il 3,5%) o da Craxi (segretario di un Psi che non ha mai superato l'11%).

Così si torna al governo dei professori, che nelle due Camere incontrerà solo il sostegno del Pd, il partito di Mattarella, con conseguenze pericolosissime: ingrassare il partito dell'astensione, che se si dovesse tornare al voto in luglio potrebbe anche sfiorare il 60%, e aumentare il consenso dei partiti populisti, proprio quelli che l'Europa non vorrebbe mai vedere al governo dell'Italia. Un disastro sottoscritto dal Quirinale che anche il Pd potrebbe pagare a caro prezzo.