L'Italia si è espressa con il voto del 4 marzo, soprattutto per ricordarci che dalle Marche in giù il Bel Paese è tutta un'altra cosa, e non solo per ragioni climatiche. Ora la partita passa nelle mani del presidente Mattarella, a cui spetta l'onere di dare l'incarico per la formazione del nuovo governo.
Un Risiko anche per il Quirinale viste le molte formule possibili, condizionate da altrettante variabili.
Partiamo dai numeri, i dati certi: il M5S è il primo partito, il centrodestra la prima coalizione. L'ipotesi più probabile è che il capo dello Stato si rivolga proprio a Salvini e Berlusconi per avviare le consultazioni con i possibili alleati.
E il centrodestra è fatto di tante cose: ci sono le spinte populiste (la caccia all'immigrato) che hanno portato la Lega al sorpasso su Forza Italia, ma c'è anche tutto un blocco sociale in quella zona di campo dominato da alcuni poteri forti: da Confindustria alle banche, dai giornali alle tv di Berlusconi.
Difficile ipotizzare che questa parte del Paese guardi ai 5 stelle come possibili coinquilini di Palazzo Chigi. Più probabile che facciano l'occhiolino al Pd di Gentiloni. E il 37% del centrodestra, più il 18 del Pd, potrebbero garantire (almeno sulla carta) i seggi sufficienti per dare un governo stabile al Paese, come chiedono con un certo nervosismo i mercati e l'Europa.
Questo farebbe storcere il naso a Salvini, certo, che potrebbe tuttavia accontentarsi di alcuni ministeri chiave, se lo scacchiere su cui giocare i tempi supplementari della partita fosse questo.
Il M5S, Leu e Fratelli d'Italia sarebbero invitati ad accomodarsi all'opposizione, costringendo Di Maio a lasciare la sua lista dei ministri nelle mani dei corazzieri.
Dice: ma al sud un elettore su due ha votato per i 5 stelle, come si fa a non tenerne conto? Certo, non lo dite al siciliano Sergio Mattarella che nella terra de Il Gattopardo sa fin troppo bene dove mettere le mani. Ma i poteri forti citati prima albergano tra il Veneto e la Lombardia: da 150 anni sono loro a muovere i pupi.